Si chiama Enrico Lando. E' padovano e ha girato il nuovo film di Aldo Baglio del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Lo abbiamo intervistato e l'idea che ci siamo fatti è...che se il meteo del weekend non promette bene, approfittatene per andare al cinema! Il film? Scappo a Casa! E se non lo sai con i punti Alì, al cinema ci puoi andare anche gratis!
C’è l’occhio, la visione, di un regista padovano, Enrico
Lando, dietro la macchina da presa che ha diretto Aldo Baglio, l’Aldo del trio
Aldo-Giovanni-Giacomo, nel film che lo vede proprio in questi giorni
protagonista al cinema Scappo a casa. Aldo interpreta un uomo qualunque,
egoista, intollerante, che racconta di sé solo quello che fa apparire sui suoi
social: forma fisica, belle auto, belle donne. Ma questo meccanico,
superficiale, e attento solo all’aspetto esteriore (non a caso indossa un
parrucchino), che frequenta un sito d’incontri, e disprezza tutto ciò che non
appartiene al suo “piccolo” mondo, finirà per vivere il suo peggior incubo: in
un viaggio a Budapest, derubato, scambiato per un immigrato, dovrà cambiare il
suo punto di vista, e grazie ad una serie di incontri, con chi è molto diverso
da lui, in un viaggio di ritorno a casa, finirà per scoprire che “solo gli
imbecilli non cambiano mai idea”.
Enrico, ci racconti il tuo incontro con Aldo Baglio, lo affranchi dal trio – di cui fa parte con Giovanni e Giacomo - e per certi versi lo inserisci in un “altro trio” nel tuo Scappo a casa…
Sono stato chiamato dal produttore, Aldo in quel periodo
stava vedendo dei registi. Ci siamo incontrati in un ufficio a Milano, con i
suoi amici sceneggiatori, abbiamo fatto due chiacchiere, mi ha chiesto quale
approccio avrei avuto con gli attori, e quando ci siamo salutati mi ha detto:
“ci sentiamo”, in quel momento ho avuto la sensazione che c’eravamo piaciuti.
Poi ci siamo sentiti davvero e abbiamo iniziato quest’avventura.
C’è una bellissima intesa sullo schermo fra Aldo e Jacky Ido, in questo loro rapporto difficile, legato a un difficile equilibrio; e poi arriva a sparigliare nuovamente le carte Babele, bella, affascinante e ribelle, interpretata da Fatou N’Diaye. Come avete creato questo affiatamento?
Per gli attori di colore che avrebbero dovuto affiancare
Aldo abbiamo fatto una serie di ricerche, ma in Italia non ce ne sono tanti, e
così la nostra scelta si è aperta a un campo internazionale. Avevo visto Jacky
nei film di Tarantino (Bastardi senza gloria e Django Unchained) e anche Fatou
in alcune sue prove precedenti, e mi piacevano, così insieme ad Aldo siamo
andati a Parigi ad incontrarli. Jacky è arrivato molto in ritardo rispetto
all’appuntamento che avevamo fissato, noi c’eravamo ormai scoraggiati, lui
aveva già letto la sceneggiatura ma era importante ritrovarsi vis à vis perché
questa è una commedia italiana su un argomento delicato, e Jacky è emigrato dal
Burquina Fasu, insomma era interessante capire cosa ne pensava lui, ed alla
fine fra noi tre è scattata una scintilla. Con Fatou avevamo un altro problema
lei non voleva che il suo personaggio finisse per essere quello di una donna di
colore oggetto del desiderio sessuale dell’uomo bianco, così ci ha fatto un
sacco di domande, ha chiesto se potevano essere fatti dei cambiamenti. Ci siamo
poi ritrovati tutti e quattro insieme a Roma per una settimana di preparazione
prima delle riprese, e lì, devo dire, è nata un’amicizia vera, ci siamo
divertiti insieme, affiatati, e tutto questo l’abbiamo portato sul set.
E nei panni del cattivo, o meglio della cattiva, c’è Angela Finocchiaro….
È stata un’idea di Aldo, lei si è imparata le sue battute in
sloveno – sì perché nel film oltre all’italiano, sono presenti ben altre cinque
lingue (francese, inglese, croato, sloveno e ungherese) - ed è diventata una
specie di “sceriffo western”.
Avete girato a Budapest, per un viaggio on the road verso l’est, ma con delle atmosfere western, come mai questa scelta?
Abbiamo girato una settimana a Budapest, due settimane in Friuli nella zona di Tarvisio, quattro in Lazio, un paio di giorni a Milano. L’Ungheria era prevista in sceneggiatura, in relazione alle politiche restrittive contro l’immigrazione che applicano, e poi in generale era per noi più interessante raccontare la rotta balcanica dell’immigrazione e non quella mediterranea che è stata trattata cinematograficamente molto spesso.
Sei nato a Padova, ti sei formato a Londra, sei passato per commedie di grande successo, sarcastiche e a tratti ciniche come quelle dei I soliti idioti, poi con Herbert Ballerina la commedia s’è tinta di nero, di noir pulp, in Quel bravo ragazzo, e qui con Aldo ci sono elementi western, a partire dalla colonna sonora, insomma la commedia tout court ti sta stretta…
Sono arrivato al cinema con un prodotto televisivo, I soliti
idioti, non rinnego niente, sono appassionato del cinema classico e di genere,
e come autore mi piace toccarli tutti, se c’è la possibilità di farlo, in
Scappo a casa, anche per i temi trattati, avevo l’impressione di fare una cosa
un po’ più matura.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Scrivo sempre, ho sempre nuove idee, e ho voglia di sperimentare altri generi. Come autore, quando ho un’idea, è bello passare da un genere all’altro, divertirsi e sperimentare, non mi interessa essere legato troppo solo alla commedia. E, pur avendo vissuto all’estero, a Roma e a Milano, vivo a Padova, sono molto legato al Veneto e il mio sogno è realizzare un film qui che possa raccontare un territorio che veramente amo.